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Fino a domenica 17 novembre, al Teatro Mercadante di Napoli (Piazza Municipio 64), è di scena “La Locandiera” di Carlo Goldoni, con Sonia Bergamasco, Marta Cortellazzo Wiel, Ludovico Fededegni, Giovanni Franzoni, Francesco Manetti, Annibale Pavone, Gabriele Pestilli, Marta Pizzigallo. La regia è di Antonio Latella.
Di seguito le note di regia:
Testo tra i più fortunati e rappresentati di Carlo Goldoni, La locandiera secondo Antonio Latella verte intorno al «tema dell’eredità che è il punto cardine di tutto – spiega Latella –. Mirandolina seduta sul letto di morte del padre riceve in eredità la Locanda, ma anche l’ordine di sposarsi con Fabrizio, il primo servitore della Locanda. Credo che Goldoni con questo testo abbia fatto un gesto artistico potente ed estremo, un gesto di sconvolgente contemporaneità: innanzitutto siamo davanti al primo testo italiano con protagonista una donna, ma Goldoni va oltre, scardina ogni tipo di meccanismo, eleva una donna formalmente a servizio dei suoi clienti a donna capace di sconfiggere tutto l’universo maschile, soprattutto una donna che annienta con la sua abilità tutta l’aristocrazia. Di fatto Mirandolina riesce in un solo colpo a sbarazzarsi di un cavaliere, di un conte e di un marchese. Scegliendo alla fine il suo servitore come marito fa una scelta politica, mette a capo di tutto la servitù, nobilita i commercianti e gli artisti, facendo diventare la Locanda il luogo da dove tutta la storia teatrale del nostro paese si riscriverà, la storia che in qualche modo ci riguarda tutti». Sonia Bergamasco dà vita a una Mirandolina differente da quella che la tradizione ha spesso proposto, sottolineando la profondità dell’approccio goldoniano. «Spesso noi registi – continua Latella – abbiamo sminuito il lavoro artistico culturale che il grande Goldoni ha fatto con questa opera, la abbiamo ridimensionata, cadendo nell’ovvio e riportando il femminile a ciò che gli uomini vogliono vedere: il gioco della seduzione. Goldoni, invece, ha fatto con questo suo testamento, una grande operazione civile e culturale. Siamo davanti a un manifesto teatrale che dà inizio al teatro contemporaneo, mentre per una assurda cecità noi teatranti lo abbiamo banalizzato e reso innocente. La nostra mediocrità non è mai stata all’altezza dell’opera di Goldoni e, molto probabilmente, non lo sarò nemmeno io. Spero, però, di rendere omaggio a un maestro che proprio con Goldoni ha saputo riscrivere parte della storia teatrale italiana: parlo di Massimo Castri.»